Scritto durante il primo lockdown nel marzo 2020, ispirato dalla profonda necessità di costruire un ponte tra il sé interiore e il mondo esterno, SPRING WILL COME è un diario composto non come musica in senso tradizionale, ma come forma di meditazione e cura. Offre uno spazio sicuro per gli ascoltatori dove sperimentare le proprie emozioni e pensieri e ci spinge verso un ascolto attento e paziente, strumento indispensabile per vivere meglio e più intensamente.

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Concept

Il 24 marzo 2020 cominciai quella che descrissi subito come una «specie di follia»: erano passate soltanto due settimane dall’inizio del lockdown e decisi di lanciarmi in un nuovo diario musicale ispirato a quella insolita e spaventosa situazione. Il piano era quello di scrivere, imparare, registrare e pubblicare un brano ogni tre giorni: una sorta di «comporre istantaneo» fatto su un pianoforte scordato, con mezzi di fortuna – un solo microfono, tra l’altro poco adatto allo scopo e una videocamera amatoriale – e, per garantire il massimo di autenticità e immediatezza, senza manipolazioni sulle riprese audio, indipendentemente dalle inevitabili imperfezioni e da «tutti i rumori della vita reale» che non era possibile evitare. Fu necessario fare un passo indietro, sia come compositore che come pianista, perché i tempi che mi ero dato non permettevano tante sofisticazioni o virtuosismi. Mi accorsi quasi subito che questo, lungi dall’essere un limite, apriva uno scenario nuovo: quello di offrire una musica al servizio, concepita non tanto in modo tradizionale ma come uno spazio uditivo in cui risiedere, sentendosi al sicuro, con le proprie emozioni e i propri pensieri. Un po’ come una forma di meditazione, un po’ come una cura.

Fu una necessità profonda a spingermi verso questo mio secondo album, molto diverso da RINASCITA, ma, a tratti, fu anche un viaggio estenuante: sia fisicamente, perché, in modo diverso dal solito, scrissi tutto a mano, passando lunghe ore tutto storto, piegato al pianoforte quasi fino alla conclusione dell’arco compositivo quando cedetti alla fatica e rallentai un po’; sia emotivamente, perché accanto al coraggio, alla forza e alla speranza sulle quali cercavo di concentrarmi, c’erano anche, e forse soprattutto, la paura, la noia e la frustrazione. A posteriori, posso dire che fu il mio modo di gettare un ponte con la mia interiorità e allo stesso tempo verso il mondo esterno, che percepivo come un altrove mai così lontano come allora.

Dopo quasi tre anni lo stretto legame che i brani avevano con i terribili eventi di quel periodo si è naturalmente allentato ma soltanto per rivelare le ragioni che lo hanno prodotto: sopraffatti dalle notifiche dei social media, dai titoli dei giornali, dalle crisi politiche, da un clima impazzito e dal senso costante di un cataclisma incombente la tentazione di evadere dalle nostre vite non è mai stata così forte; SPRING WILL COME ci invita a non farlo, a rimanere svegli e in relazione con gli altri, ci spinge verso un ascolto attento e paziente, strumento indispensabile per vivere meglio e più intensamente.

Track by track

Statici accordi puntellano una glaciale, immobile fissità

In FROZEN statici accordi puntellano una glaciale, immobile fissità, metafora musicale che voleva catturare la sensazione di un mondo sospeso, pietrificato dall’incertezza e dalla paura, bloccato dagli stravolgimenti a cui stavamo assistendo impotenti. L’irreale silenzio che all’improvviso ci avvolse era così inconsueto, soprattutto nelle città, da risuonare come minaccioso per il vuoto di senso che suggeriva e perché mostrava inequivocabilmente le nostre solitudini: per troppi anni le avevamo alimentate, convinti fino all’autolesionismo dalle narrazioni correnti che gioia e felicità fossero connesse all’acquisizione di qualcosa e dimenticandoci di quanto siano importanti gli altri. Ma poiché, come si dice, “l’ora più buia è quella che precede l’alba, e solo attraverso la notte si può raggiungere la luce” in quel momento si aprì una straordinaria opportunità trasformativa: in quel silenzio, in quel vuoto potevamo finalmente prendere consapevolezza dei nostri bisogni profondi e delle nostre relazioni con gli altri. Potevamo riscoprire il valore della solidarietà e della cooperazione, e capire che il vero benessere e la vera felicità non derivano dall’avere sempre di più, ma dal condividere e dall’essere parte di una comunità.

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Un’interminabile attesa. La noia. La frustrazione.

Dopo l’immobile fissità di FROZEN, metafora musicale di un mondo sospeso, pietrificato dagli stravolgimenti a cui stavamo assistendo impotenti, THE WAITING rappresenta l’interminabile attesa che seguì, con tutta la sua noia e la sua frustrazione.  La forte limitazione degli impegni sociali, delle attività di svago e dei viaggi, costrinse molti di noi a fare i conti con questa esperienza, normalmente rifuggita quanto più possibile per il senso di insoddisfazione, fastidio e tristezza che ci provoca. L’ozio forzato faceva apparire lo scorrere del tempo inutile e vano, soprattutto a fronte di quell’imperativo sociale che ci vorrebbe sempre nella vita professionale attivi e produttivi e in quella privata alla ricerca di nuove avventure e di divertimento.  Tuttavia, la noia può essere il modo in cui la nostra mente e il nostro corpo ci avvertono di qualcosa che non funziona nelle nostre vite e spingerci creativamente verso nuove direzioni di senso; ci permette di prenderci una pausa dalle distrazioni quotidiane e di concentrarci su noi stessi; ci offre l’opportunità di riflettere su ciò che è veramente importante e ci aiuta a scoprire nuove passioni e interessi. La noia, soprattutto quando ci sentiamo stressati e sopraffatti dalle responsabilità quotidiane, ci aiuta a prendere una pausa, a rallentare, a riposare. E così, anziché cercare sempre di evitarla possiamo imparare ad accettarla e a utilizzarla a nostro vantaggio: quando ci sentiamo annoiati proviamo a guardarci dentro e a scoprire di cosa abbiamo bisogno in quel momento e magari ci sorprenderà scoprire qualcosa di nuovo su noi stessi.

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Quattro variazioni evocano la ciclicità delle stagioni invitandoci ad abbracciare il cambiamento

L’esperienza fatta con THE WAITING, con la sua noia e la sua frustrazione punta verso il conseguimento di una aurorale nuova consapevolezza: SPRING WILL COME, la primavera arriverà. Quattro variazioni di un tema echeggiante evocano il trascolorare delle stagioni – la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno, non necessariamente in quest’ordine – la loro interconnessione, la loro ciclicità. La simbologia, senza troppe sofisticazioni, esprime la certezza che, per quanto negativo possa essere stato un periodo delle nostre vite, esso passerà. Non si può sfuggire alla ruota del tempo e, se anche a volte può sembrarci spaventosa, in realtà ci garantisce che ogni fine non rappresenta che un nuovo inizio, invitandoci ad abbracciare il cambiamento e a guardare oltre le difficoltà verso una primavera di luce, di rinascita e di rigenerazione. SPRING WILL COME non usa una retorica magniloquente e con la sua semplicità ci ricorda quanto sia fondamentale valorizzare ciò che è davvero significativo per noi e che rende la vita degna di essere vissuta, senza curarci di superficiali luoghi comuni che rischiano di imprigionarci in un soffocante e inarrivabile dover essere e che ha per unico effetto quello di farci sentire costantemente inadeguati. In questo senso, SPRING WILL COME è un anche un richiamo a non dimenticare l’importanza del presente, del qui e ora, ad apprezzare ciò che abbiamo e a godere dei momenti che passiamo con le persone a cui vogliamo bene. A volte, per banale che sia, un’alba o un tramonto, la pace di una passeggiata o una bambina che smette di piangere è tutto quello che serve per renderci felici. Guardiamo al futuro con fiducia, crediamo in noi stessi, diamo senso alle nostre vite con coraggio e determinazione!

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Una voce, a malapena udibile, cerca il suo canto senza trovarlo, in un crescendo vorticoso, presagio ancora prematuro della gioia che verrà

Quando composi (THE) RISE i primi di aprile del 2020 eravamo ancora in pieno lockdown e volevo raccontare la voglia di risollevarsi. Se SPRING WILL COME rappresentava il raggiungimento di una nuova consapevolezza, (THE) RISE era un primo prematuro tentativo di realizzarla: da una nuvola di suoni che si muovono in un crescendo incessante affiora una voce, dapprima quasi soffocata e poi sempre più limpida, come in cerca di un canto a simboleggiare l’agognato traguardo. L’invito era quello di mettere a fuoco una scintilla di speranza e di mantenere la fiducia in un futuro migliore, nonostante le difficoltà del presente; allo stesso tempo era un incoraggiamento, proprio in un momento in cui era facile sentirsi sopraffatti dalle sfide, a creare il proprio destino, guardando al mondo con occhi nuovi e mettendoci così in condizione di poter riconoscere le opportunità che si presentano. In questi giorni, se non bastassero, tra le altre, le notizie provenienti dall’Ucraina e dall’Iran, giungono ora dopo ora quelle di uno spaventoso terremoto in Turchia con migliaia di vittime, interi paesi rasi al suolo e migliaia di persone in strada. È normale sentirsi annichiliti dalla tristezza e dall’angoscia, eppure mai come in questi momenti è importante non distogliere lo sguardo dalla speranza e dalla fiducia. È straordinario osservare lo sforzo della comunità internazionale, già presente con numerosissime squadre di volontari, a lavoro per fornire aiuto e supporto a coloro che ne hanno bisogno, e mi torna in mente quanto scrivevo online proprio nei giorni in cui facevo uscire la prima versione di (THE) RISE: «[…] è troppo presto per cantar vittoria, dobbiamo essere pazienti e aspettare, fiduciosi che ci potrà volere del tempo, ma a un certo punto ci rialzeremo in piedi (Rise)».

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Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato

(Eraclito)

Quello che in SPRING WILL COME era stato solo suggerito attraverso l’evocazione del trascolorare delle stagioni con la loro interconnessione e ciclicità, si manifesta con esplicita chiarezza in EVERYTHING FLOWS, traduzione letterale dell’antico adagio attribuito al filosofo greco Eraclito: panta rhei (πάντα ῥεῖ). Nel suo frammento «Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato […].» (91 Diels-Kranz) si sottolinea come il mondo sia un flusso perenne in cui tutto scorre (everything flows), analogamente alla corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse. Ogni cosa è in divenire perché soggetta al tempo e alla trasformazione: per questo nessun essere umano può fare la medesima esperienza due volte, sottoposto com’è alla legge inesorabile del mutamento. Quando scrissi il brano, durante la pandemia, questa filosofia fu di grande conforto perché mi permise di identificare, seppur idealmente, una fine certa dell’emergenza. Oggi ne vedo un lato diverso: se si comprende fino in fondo che niente è mai fermo e immutabile dentro e fuori di noi, che ogni attimo è unico e irripetibile e pertanto prezioso, siamo più facilmente portati a vivere con maggiore intensità, a esistere pienamente nel presente, evitando quella costante e ossessiva proiezione in avanti verso un futuro che diventa ben presto irraggiungibile, fatto per obiettivi che appena raggiunti vengono scalzati dai successivi. Inoltre, la metafora del fiume che scorre ci suggerisce quanto sia risibile provare a fermarlo con le nostre mani, ovvero quanto siano infondate le pretese di controllo della realtà e di conseguenza quanto sia importante, al contrario, provare ad accogliere quello che succede con serenità anziché combatterlo: questo non significa assumere un atteggiamento passivo nelle nostre vite ma di liberarci da quelle emozioni negative che semmai ci impediscono di fare ciò che è davvero giusto per noi.

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Una dedica a chi non c’è più; ai medici, agli infermieri e a tutti coloro che si prendono cura degli altri

Scrissi il tema principale di ANGELS il giorno della Festa della Mamma nel 2019: fu un’ispirazione immediata, una semplice melodia alla quale il metro ternario forniva un andamento cullante, una “piccola tenera improvvisazione per la mia forte mamma”, come scrissi nel pubblicarlo. Istintivamente tornai a questo appunto quando sentii il bisogno di dedicare un pezzo ai medici, agli infermieri e più in generale a tutti coloro che in quei difficili mesi del 2020 stavano mettendo le loro vite a disposizione della collettività: e non fu un caso usare proprio quel tema, perché una madre, almeno su un piano ideale, incarna il senso più profondo del prendersi cura degli altri. ANGELS, angeli, mi parve il titolo più giusto, o almeno rappresentava perfettamente il mio sentire a riguardo. Poi si verificò una significativa sincronia: poco prima di pubblicare, come di consueto, il video con la prima esecuzione mi accorsi che avevo malauguratamente dimenticato di mettere a fuoco l’inquadratura. Dapprima mi prese un po’ di sconforto, perché a quel punto avrei dovuto rimandare al giorno successivo la nuova registrazione. Poi però, quell’immagine offuscata che avevo davanti mi fece pensare che c’erano altri angeli ai quali volevo dedicare questo sesto capitolo del mio diario di una quarantena – così lo chiamavo allora: erano le tante persone che non ce l’avevano fatta e che molto spesso avevano dovuto passare le loro ultime ore negli ospedali senza il conforto dei propri cari. ANGELS, nata come un omaggio a mia madre, si era trasformata, prima onorando quanti si erano donati generosamente agli altri, poi offrendo un ultimo saluto a chi non c’era più.

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Cala la notte, sembra non finire mai, una melodia si forma poco a poco, evocando una luce che faticosamente ci appare soltanto per dissolversi subito dopo.

Il legame di ANGELS con i temi della morte e della malattia lasciarono un segno profondo dentro di me. Nel frattempo, il lockdown continuava, e continuavano i bollettini quotidiani con il loro macabro conteggio delle vittime e degli ammalati, un oscuro caleidoscopio di informazioni che si sovrapponevano confusamente l’una sull’altra, allentando i rapporti con la realtà, già indeboliti da settimane di chiusure. Era come se a tutti mancasse il respiro, letteralmente nei reparti degli ospedali, e simbolicamente per coloro che erano bloccati a casa in quella che sembrò un’eternità. Questa è l’atmosfera di THE LONGEST NIGHT, la notte più lunga, brano affine, quasi un gemello, sia per le tematiche che per alcune caratteristiche musicali, a THE WAITING: dapprima c’è come un tramonto, rappresentato da gocce di suono che si muovono verso il basso dal registro acuto dello strumento; poi l’oscurità prende il sopravvento e ogni cosa perde di riconoscibilità, sentiamo soltanto il tempo che passa col suo incedere un po’ indifferente; a tratti si coglie una certa bellezza, nel buio prendono vita le immagini dei sogni e il silenzio ci consente di metterci in ascolto di un mondo molto diverso da quello diurno; lo sguardo, poi, si rivolge alle stelle con sempre maggiore persistenza, e ci conforta disegnare con esse delle figure via via più ampie pur sapendo che sono piccole costruzioni di senso che appartengono a noi soltanto; ma è solo un momento, e rimaniamo in attesa dell’alba.

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Il momento più difficile: accogliere la sofferenza.

Lungo tutto il percorso fatto finora, ho sempre mantenuto viva l’esigenza di usare le esperienze negative per mettere in moto dei processi trasformativi importanti per la nostra crescita personale: e così in FROZEN il vuoto con cui eravamo entrati in contatto diventava l’opportunità di prendere consapevolezza dei nostri bisogni profondi; in THE WAITING si trattava di accettare e usare anche la noia a nostro vantaggio; in (THE) RISE sottolineavo come l’umanità talvolta tira il fuori il meglio di sé proprio nei momenti di maggiore difficoltà. Questo è il mio modo di sentire prevalente: la presenza del limite e del male, in tutte le sue forme, è indiscutibile ma di fronte a esso abbiamo ancora la libertà di fare le nostre scelte. Ed è spesso una scelta quella di subire o agire i cambiamenti: personalmente, se non mancano le risorse interiori, è fondamentale almeno provare a orientare i nostri sforzi verso azioni che portino un beneficio nelle nostre vite. Eppure, non sempre è possibile farlo, o comunque non immediatamente. A volte la sofferenza, cioè lo stato in cui proviamo una qualche forma di dolore fisico o morale, si impone come elemento ineliminabile, impossibile da ignorare o rielaborare, ci sentiamo sopraffatti e impotenti di fronte a essa, schiacciati e paralizzati dalla paura o dall’ansia, senza energie. DISCOURAGEMENT, dopo aver attraversato la notte più lunga (THE LONGEST NIGHT), rappresenta i momenti cui possiamo solo smettere di rifiutare le cose così come stanno, togliere i filtri con cui leggiamo la realtà nel tentativo di costruire protezioni, accogliere il male e il malessere che ne deriva, senza resistervi ma restando aperti (surrender).

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Quello che non mi uccide, mi fortifica

(F. Nietzsche)

STRONGER è l’attitudine a superare gli ostacoli, un modo per accogliere le sfide, piuttosto che opporre resistenza, e per usarle come una incredibile opportunità di conoscenza.

STRONGER ti chiede di dare il giusto peso a tutto ciò che in realtà è insignificante, non lasciando che determini il tuo benessere, e di concentrarti sugli aspetti positivi della tua vita.

STRONGER, oggi più che mai, dopo due anni di Covid19 e una guerra esplosa ai confini dell’Europa che spezza il cuore, ci incoraggia a dar valore alle esperienze negative, a raggiungere attraverso di esse una maggiore felicità e saggezza, e a essere grati: se stai facendo di te una persona migliore c’è la possibilità che tu stia rendendo il mondo, per ingenuo che possa sembrare, un posto migliore.

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Non sapendo quando l’alba arriverà, apro tutte le porte

(Emily Dickinson)

Quando pubblicai la prima registrazione di HOPE era il 3 maggio 2020: l’indomani le restrizioni, dopo due interminabili mesi, si sarebbero finalmente allentate. Scrivevo: «non torneremo alla normalità ma è qualcosa… HOPE (speranza) è la parola chiave ora, intesa però come processo dinamico che emerge dalle macerie e si proietta attivamente verso il futuro, non attesa dunque ma azione fiduciosa». Ci volle ancora molto tempo, in effetti, per tornare alla normalità, e francamente oggi mi chiedo se abbia senso usare questa espressione che, in fondo, sottende l’idea della pandemia come cacciata dall’Eden, la rottura di un iniziale stato di sostanziale benessere, o più banalmente il consueto luogo comune del si stava meglio prima. L’immane tragedia della malattia e dei morti non ha reso peggiori le nostre vite più di quanto non abbia svelato debolezze e miserie già presenti. E purtroppo non le ha rese nemmeno tanto migliori, come più volte allora venne auspicato: anzi, è piuttosto evidente, oggi più che mai con una guerra esplosa da un anno nel cuore dell’Europa, l’incapacità di orientare il nostro destino verso «il prodigio della vita in pace, della vita accordata su un’armonia perduta e la cui eco lontana è capace di confortarci il cuore» (M. Zambrano). Ma un varco si è aperto e una tenue luce ha cominciato a illuminare zone un tempo in ombra rivelando il vasto campo di un potenziale irrealizzato. Non si tratta dell’attesa fiduciosa di un evento favorevole, di un passivo stare a guardare, ma dell’azione fiduciosa tesa verso una meta: la speranza (HOPE).

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Crediti

Musica composta ed eseguita da Paolo Cognetti

Registrazione e Mix di Filippo Rossi e Lawrence Fancelli all’Officina Sonora del Bigallo

Master di Niccolò Caldini

Distribuzione digitale: Distrokid

Copertine: Dashti Design Studio

Poesie: Maria Ester Mastrogiovanni (MEM)


Il potere dello stare insieme (e degli abbracci)

Il video musicale per il mio ultimo singolo per pianoforte solo STRONGER è stato concepito e diretto da Alessandro Valori (Sbranzo) e Andrea Cresci, e ha per tema l’importanza delle relazioni umane e della cooperazione.

All’inizio del primo lockdown in Italia, nel marzo 2020, mi sono sentito in trappola: nonostante la nostra cultura tenda a vedere le persone essenzialmente come individui, ego separati, liberi di relazionarsi agli altri oppure no, penso davvero che esistiamo solo in quanto relazione e processo, e non potermi incontrare di persona con la mia famiglia e miei amici è stato innegabilmente frustrante. È con la musica che ho cominciato il viaggio per un nuovo equilibrio interiore e ho potuto aprire un dialogo con le persone: ho cominciato a comporre ciò che è diventato alla fine Spring Will Come e ho condiviso online immediatamente tutti i pezzi con registrazioni fatte a casa sul mio pianoforte. La musica è stata la mia via d’uscita, ciò che mi ha riconnesso al mio sé interiore e messo in relazione col mondo esterno durante il lockdown, in sostanza quello che ha reso la mia vita più ricca, intensa e significativa.

Il video musicale per STRONGER è una rappresentazione simbolica di questo processo: prima, tutto lo scoraggiamento, la sofferenza e lo stress di una situazione spiacevole; poi, grazie alla bella coreografia e interpretazione dei ballerini Victoria Aletta e Gabriele Memoli, vediamo due personaggi che si cercano l’un l’altro fino a che, dopo alcuni tentativi non andati a buon fine, possono finalmente (re)incontrarsi e godersi un abbraccio atteso troppo a lungo.

Il video è stato girato nei Wayout Studios, uno studio fotografico nel centro di Firenze, e nella Tenuta Monaciano, un’antica villa padronale nel cuore della Toscana tra le colline del Chianti, recentemente riportata da un restauro al suo antico splendore e circondata da alberi secolari e statue di marmo.

Crediti

Regia di Alessandro Valori (Sbranzo)

Soggetto di Andrea Cresci e Alessandro Valori (Sbranzo)

Ballerini: Victoria Aletta e Gabriele Memoli

Prodotto da Wos Up

Fashion Stylist: Francesca Bertini

Truccatrice: Silvia Gerzeli

Attrezzature fotografiche: Wayout Studios

Ringraziamenti speciali: Nicole Bono, Laura Nicolelli Fulgenzi, Tenuta di Monaciano and Staff


Un giorno al Cicaleto Recording Studio

Un anno dopo aver composto e registrato il mio secondo album per pianoforte solo SPRING WILL COME, ho sentito il desiderio di offrire una nuova prospettiva dei brani, che recuperasse quella spontaneità e quella naturalezza che li aveva caratterizzati originariamente. Ho deciso quindi di trascorrere una giornata con Francesco Ponticelli presso il Cicaleto Recording Studio, una dimora storica del Settecento immersa nella pace e nella bellezza della natura, a pochi minuti dal centro della città di Arezzo, nel cuore della Toscana. Ispirato dal luogo e dalla sua atmosfera, ho registrato tutti i brani di fila e senza alcun tipo di editing, cercando di catturare l’essenza e l’emozione di una esecuzione dal vivo. Per favorire ulteriormente il senso di un’esperienza immersiva e coinvolgente, ho chiesto ad Arianna Fiandrini e Mauro Magrini di Visualcam Production di creare un video dell’intera esperienza.

Crediti

Regia di Arianna Fiandrini

Gimbal: Mauro Magrini

Registrazione, Mix e Master di Francesco Ponticelli al Cicaleto Recording Studio